Sempre più spesso mi capita di affrontare le ansie di chi pensa che il motivo del proprio sovrappeso sia legato a qualche allergia/intolleranza e si sottopone a durissime diete di esclusione che seppur conducano effettivamente a una perdita di peso sono spesso responsabili di accumulo di stress che alla lunga si traduce in un nuovo accumulo di grasso.
Proviamo a fare chiarezza.
Innanzitutto c’è una differenza sostanziale tra allergia e intolleranza. Entrambe sono classificate come ‘reazioni avverse agli alimenti’ ma differiscono moltissimo nel meccanismo con cui si manifestano.
Le allergie sono il risultato di una risposta immunologica guidata dalle immunoglobuline IgE e dalla liberazione di istamina, in seguito all’ingestione dell’alimento. La reazione più frequente in questi casi è immediata (entro al max 1 ora dall’assunzione) con presenza di gonfiore e dolore intensi, asma, eritema, orticaria, fino ad arrivare allo shock anafilattico. Secondo le statistiche le allergie alimentari vere e proprie hanno un incidenza molto bassa; è sicuramente più frequente in età pediatrica, specie quando sia presente una familiarità, e decresce con l’età.
Le intolleranze alimentari (IA), molto più frequenti delle allergie, non sono immunologicamente mediate (non provocano risposta immunitaria) ma sono riconducibili a differenti meccanismi patologici: deficit enzimatici, sia di enzimi digestivi (per es. deficit di lattasi nell’intolleranza al lattosio) che di enzimi non digestivi (deficit di glucosio 6 P-deidrogenasi nel favismo), in questo caso si tratta di ‘pseudoallergie’; reazioni ‘ipersensibili’ quali quelle prodotte da cibi ricchi di istamina o istamino-liberatori (cioccolata, vino rosso, crostacei, fragole, uova, carne di maiale soprattutto salsicce, ananas, papaya); le intolleranze di origine farmocologica dovute a sostanze naturalmente presenti negli alimenti o aggiunte (addittivi alimentari) dotate di qualche effetto farmocologico (per es. amine vasoattive quali la tiramina presente nei formaggi invecchiati).
La risposta fisica ad una intolleranza alimentare può essere immediata o presentarsi dopo un certo tempo, fino a 72 ore dopo l’ingestione dell’alimento.
Le IA sono soggette alla cross-reazione, cioè chi è intollerante al pomodoro ad es., sarà intollerante anche agli altri componenti della stessa famiglia delle Solanacee e cioè a patate, peperoni e melanzane. L’intolleranza scompare con la sospensione dell’assunzione degli alimenti di quella famiglia. Tale sospensione può scatenare inizialmente una ‘reazione di astinenza’ con il ripresentarsi dei sintomi cronici in forma acuta per 3-4 giorni, per poi scomparire quando l’organismo ha terminato di eliminare tutte le tossine.
Le IA sono sicuramente le più diffuse e su queste mi voglio concentrare. E’ infatti necessario aprire la mente a un nuovo modo di pensarle per non rimanerne intrappolati e imparare a gestirle.
Le cause dell’IA possono essere varie e tutte ascrivibili a uno squilibrio di interazione tra il nostro corpo e l’ambiente esterno.
Qualunque cibo introduciamo nel nostro corpo è una sostanza ‘estranea’ , se non viene riconosciuta tale e non viene attaccata dal sistema immunitario è grazie a un preciso sistema fisiologico di “induzione di tolleranza orale” che avviene sulla mucosa intestinale (GALT: tessuto linfoide associato al tratto intestinale).
Nel corso della vita introduciamo nel nostro corpo tonnellate di alimenti diversi, ciascuno dei quali viene ‘indagato’, ‘riconosciuto’, ‘accettato’ e ‘inglobato’. Alla nascita il GALT non è ancora del tutto sviluppato, ci vuole un po’ di tempo prima che funzioni a regime, e questo spiegherebbe alcune allergie o intolleranze in età pediatrica che poi spariscono con la crescita.
L’Ecologia clinica è nata nel 1951 dal dott. Theron G. Randolph, riguarda le patologie che possono essere causate dall’ambiente: tutto ciò che viene riversato sul terreno, nelle acque, nell’aria e negli alimenti può essere causa di tossicità. Grazie a questa disciplina è possibile comprendere il ‘senso’ della dilagante diffusione delle IA.
Affinché un organismo possa ‘abituarsi’ a una determinata nuova sostanza ci vuole tempo. La teoria della discordanza tra genoma dell’Homo sapiens e ambiente ce ne dà una dimostrazione concreta.
I cambiamenti ambientali cominciati con l’allevamento e l’agricoltura (10.000 anni fa) sono avvenuti troppo recentemente nella scala dell’evoluzione affinché il genoma umano potesse adattarsi e tale mancato adattamento si manifesta come patologia e aumentata morbilità (tendenza ad ammalarsi). La selezione naturale lavora lentamente ed è quindi probabile “che i problemi secondari dovuti all’introduzione di un nuovo cibo persistano per qualche migliaio di anni” (J. Brostoff). Questo sarebbe vero per alimenti di largo consumo come il latte, il pomodoro e il grano.
Brostoff dice che molte piante non erano state programmate per diventare cibo per l’uomo e avrebbero in sé meccanismi di difesa costituiti da specifiche molecole: in pratica “non volevano essere mangiate”. Primo fra tutti il grano ( ma anche segale, orzo e avena) che contiene alcune proteine ‘difensive’ che in alcuni soggetti provocano una reazione avversa conosciuta come celiachia. Sembrerebbe dunque che il celiaco sia una vittima inconsapevole del lento adattamento fra il genoma umano e il grano, lo dimostra anche il carattere ereditario di tale patologia.
Se pensiamo alle manipolazioni che sul cibo vengono fatte dalle industrie alimentari sia sul confezionamento del cibo che sulle materie prime, va da se che i tempi di adattamento del GALT si allungano ancora di più e questo giustifica tutte le reazioni avverse che accusano la maggioranza delle persone che consumano soprattutto cibi preconfezionati.
Quando c’è un’ IA si instaura un’infiammazione cronica detta ‘aspecifica’ (che non si manifesta con alterazione di specifici valori ematochimici). Tale infiammazione provoca dismetabolismo e cioè l’organismo non brucia più in modo corretto carboidrati, proteine e lipidi e da qui si produce come risultato un aumento di peso corporeo.
A questo punto è necessario intervenire con opportuni sistemi di ‘riequilibrio’ disintossicando e contrastando l’infiammazione attraverso una dieta di esclusione a rotazione, facendo attenzione a introdurre il giusto apporto di minerali (la cui carenza è un fattore di scatenamento delle reazioni avverse agli alimenti essendo i minerali il substrato di molti enzimi), correggendo la disbiosi intestinale (sindrome batterica con cambiamento della flora intestinale) e contestualmente correggendo lo stile di vita in generale per mettere in condizione l’organismo di reagire all’infiammazione attingendo alle risorse difensive naturali al massimo dell’efficienza.